CHIESE, EREMI E MONASTERI

I LUOGHI DELLA SPIRITUALITÀ

Per un ideale tour dei luoghi della spiritualità, proponiamo di partire dalla chiesa abbaziale di S. Michele Arcangelo, nella parte più elevata di Badia Tedalda. Risalente all’XI secolo, in stile romanico, risalente (a una navata, con campanile impostato su preesistente torre difensiva) viene ristrutturata durante il XVI secolo. E nel corso di tali lavori l’edificio viene arricchito da altari con pale in terracotta invetriata di scuola robbiana. Più precisamente, le splendide terrecotte invetriate che troviamo in questa chiesa sono opera di Benedetto e Santi Buglioni, allievi nella bottega dei Della Robbia. A questi artisti vennero commissionate intorno al 1520 dal certosino Leonardo Buonafede, spedalingo di S. Maria Nuova (Firenze) ed abate della Badia Tedalda. Si tratta di tre pale d’altare (la più importante è la pala centrale, raffigurante la Madonna col Bambino fra i santi Leonardo, Michele, Arcangelo e Benedetto) e poi di un Tabernacolo per l’Eucarestia, e due figure di Angeli.

San Michele Arcangelo - Robbiana (2)

E già che parliamo di robbiane, diciamo subito per ammirarne delle altre dobbiamo spostarci nelle frazioni di Fresciano e a Montebotolino, rispettivamente nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo (Gesù che consegna le chiavi del Paradiso a San Pietro) e nella chiesa di San Tommaso (l’Incredulità di San Tommaso). Quest’ultima fu eseguita nella seconda metà del XVI secolo da Santi Buglioli su commissione di Gnognio di Salvatore da Montebotolino.

San Tommaso di Montebotolino - Robbiana

Dalla Valmarecchia alla vallata formata dal Presale: qui troviamo – documentato già dal XII secolo – il Santuario della Madonna del Presale, che faceva parte di un antico insediamento castellare. E’ un edificio a navata unica con portico, e al suo interno si può ammirare una “Mater Barbarica” dipinta da Sergio Battarola per il Giubileo del 2000 (di recente è stata trafugata una pregevole tavola d’altare del Trecento senese). A sinistra della chiesa, i resti dell’antico romitorio. Non distante da qui si trovano diverse piccole frazioni tra cui Molino di Mezzo. Oggi è un borgo disabitato, ma qui – nei resti di una cappella diroccata – è stata rinvenuta una scultura in pietra raffigurante una Madonna, risalente all’Alto Medioevo.

Madonna del Presale (particolare)

Lasciamo a questo punto le frazioni più vicine a Badia Tedalda per spostarci più a valle in direzione di Rimini; prima tocchiamo il Ranco, antico posto di dogana dove troviamo una piccola chiesetta nota soprattutto per la lapide che si trova sulla sua facciata, con un testo dello sceneggiatore Tonino Guerra (che ha sempre prediletto il Ranco, apprezzandone la poesia del paesaggio): A questa chiesuola, dove la domenica sentiva cadere le noci sui coppi, Eliseio veniva spesso a tenere compagnia alla moglie che puliva e metteva fiori finti nei barattoli sull’altare. Adesso che lui non c’è più, restano sempre nell’aria le parole che mi disse a proposito dell’esistenza di Dio: “Dire che c’è può essere una bugia, dire che non c’è può essere una bugia più grande”.

Il Ranco (3)

Ci spostiamo ancora più a valle, nella località di Cicognaia, dove troviamo la più antica cappella gentilizia di tutto il territorio: Sant’Arduino. Sorta fin dal VII secolo su resti di un edificio pagano, fece parte di un castello sorto intorno al XIII secolo. Ristrutturata nel XVI secolo, la chiesa presenta oggi un’abside ben conservata dalle linee preromaniche. L’interno è a navata unica, con presbiterio sopraelevato (sotto, una cripta sostenuta da colonne d’influenza ravennate). Conserva frammenti di pavimentazione romanica del primitivo organismo, affreschi del XIV secolo di scuola riminese, e un tabernacolo medievale in pietra (diversi paliotti d’altare sono stati trasferiti nella Chiesa di Cà Raffaello).

Ancora uno spostamento, per condurci fino a Sant’Andrea – La Cupa: piccolo aggregato rurale situato in ambiente selvaggio, all’inizio della Valle del Foglia. Qui troviamo la chiesa di Sant’Andrea; a navata unica e con campanile a vela, vi è conservata una pregevole tela raffigurante la Madonna in trono e Sant’Andrea.

Infine, alcune note per parlare di un eremo e un monastero di cui oggi rimangono i ruderi ma le cui vicende sono ancora piuttosto vive nella memoria locale.

L’Eremo della Barucola
Documentato dai primi decenni del XIII secolo, nella località di Barucola (raggiungibile dalla Val di Brucia) si insediò una fiorente comunità eremitica, con regola agostiniana. Nel 1295, per opera del beato Andrea Dotti gli eremiti della Barucola saranno aggregati al convento dei Servi di Maria di Sansepolcro. Andrea Dotti, noto come Andrea da Sansepolcro visse a lungo in questa località, e vi morì il 31 agosto 1315. Nel XIV secolo però la comunità si sciolse e l’edificio divenne sede di attività agricole. Attualmente gli edifici – una casa rurale e piccola cappella – versano in stato di grave degrado.

Il Palazzo dei Monaci di Viamaggio
Dalla frazione di Viamaggio si prende la sterrata che scende al fosso del Presalino, lo si attraversa e al di là si imbocca la mulattiera che – salendo verso il Passo dello Spugnolo – conduce ai resti del Palazzo dei Monaci.

Fattoria di Viamaggio - particolare

Oggi la struttura è diroccata, ma in origine (pare sia anteriore al Mille) era un fabbricato di dimensioni significative. Sviluppato architettonicamente a forma di elle, al suo interno si individuano ancora le diverse stanze e un corridoio.  Inoltre, nella parete centrale sono visibili i resti del lavoro di scavo del dipinto “Affresco dei Monaci”, opera di autore sconosciuto risalente alla metà del ‘400 che presenta la Madonna in trono con il bambino e ai lati Sant’Antonio e San Macario (da alcuni decenni l’affresco è stato spostato al Museo diocesano di Sansepolcro).
Il monastero accoglieva monaci benedettini provenienti da tutta Europa, che qui lavoravano soprattutto come amanuensi; erano dediti cioè alla copiatura dei libri antichi. Per la sua posizione però il monastero svolse a lungo anche le funzioni di ospitale, ossia di luogo di ricovero ed accoglienza per chi valicava l’Alpe della Luna. Poi, nel corso del XV secolo i monaci abbandonarono il sito. Che divenne abitazione per alcune famiglie contadine. Tra Ottocento e Novecento, poi il luogo sarà anche rifugio di contrabbandieri, che oltrepassavano il Passo dello Spugnolo con il carico di foglie di tabacco per sfuggire ai controlli (di solito dislocati sulla via principale, dunque attorno al Passo di Viamaggio).
Va detto che sia per alcuni fatti reali (il ritrovamento in una cappella di una buca con molte ossa umane), sia per alcune dicerie (Palazzo dei Monaci sarebbe stato un “luogo punitivo” per monaci che avevano infranto il voto di castità), sia per l’atmosfera stessa dei luogo (isolato in montagna ed avvolto dal bosco), nel tempo su questo sito sono nate leggende e misteri. La principale vuole (partendo da una circostanza reale: in una delle stanze vi è l’ingresso a un sotterraneo dove – su un trave – ci sono segni di scrittura ormai indecifrabili) che nel sotterraneo stesso ci sarebbe stata una botola con trabocchetto, al cui fondo si trovavano dei coltelli affiliati. dunque chi vi veniva indirizzato, percorreva un viaggio senza ritorno. Da tale presupposto – e cioè che nel monastero avvenissero morti misteriose – la leggenda si estese ad abbracciare anche le anime delle persone uccise, che sarebbero tornate a vagare su Palazzo dei Monaci per “urlare” il male sofferto. Ovviamente, di tali misteriose leggende i principali propalatori furono, nel tempo, proprio i contadini che subentrarono ai monaci e che abitarono qui per secoli (e che ogni tanto, lavorando il terreno, rinvenivano effettivamente resti di ossa umane).